Constantin Noica (Vitanesti, 1909 – Păltiniș, 1987) è stato uno dei maggiori filosofi europei del Novecento. Tra il 1949 e il 1964, subisce una persecuzione durissima da parte del regime comunista, che gli infligge dieci anni di residenza forzata a Câmpulung-Muscel e venticinque anni di lavoro forzato (di cui ne sconta solo sei) nel carcere di Jilava, come prigioniero politico. In seguito si ritira sui Carpazi, nella località di Păltiniș, che verrà definita da Emil Cioran “il centro spirituale della Romania”.
Lo spirito dell’essere umano non è sempre se stesso, saldo e immutabile. Si può ammalare, e perciò può cambiare, a seconda non solo del suo destino individuale, ma anche del periodo storico e del contesto in cui l’individuo si trova. E per ammalarsi le direzioni sono due: l’atrofia e l’ipertrofia. Lo spirito o rimpicciolisce, o cresce troppo. Partendo da questa intuizione, Constantin Noica – filosofo quasi eretico, quasi maledetto del Novecento europeo – esamina le malattie dell’uomo contemporaneo: Don Chisciotte e Faust illustrano il tormento di non poter agire in accordo con il proprio pensiero; Don Giovanni, o l’esasperazione del destino individuale che non riconosce più alcun ordine generale; Tolstoj, o l’annullarsi dell’individuo nella storia; e infine le creature di Beckett, che rappresentano l’assenza di determinazioni, la malattia del non-atto.
Ogni malattia spirituale ha un colore caratteristico, quello dell’atodetia è il bianco. La nostra cultura è diventata come una pagina bianca. Quando pensiamo alle leggi che siamo arrivati a conoscere ovunque, e alla loro insperata ricchezza, possiamo renderci conto che tutto è diventato come un disco di Newton, con un numero infinitamente più grande di colori dei tradizionali sette. Eppure, quando facciamo ruotare il disco per ottenere un senso d’insieme, accade come con il disco newtoniano: tutto diventa bianco.