Scrive Alessandro Mezzena Lona: «Esiste, allora, un sistema per demistificare la mistificazione dell’apparire? Certo, si chiama arte, letteratura. Osservando la realtà, e costringendola a reinventarsi secondo uno schema narrativo, si riesce a mettere a fuoco con maggiore lucidità le tecniche della finzione identitaria. Si sbugiarda l’intero campionario di menzogne raccontate nell’illusione di costruirsi una vita perfetta. Così, l’analisi smaliziata dello scrittore finirà per strappare la maschera a quel maledetto incubo borghese che è il dichiararsi produttivi, realizzati, riconosciuti. In una parola: felici.
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La Figurante Camille cercherà nella letteratura la sua dimensione. Ben sapendo che “la parte autobiografica della mia vita era una domanda alla quale già adesso faticavo a rispondere”. E che non si può ingannare se stessi scrivendo. Perché il romanziere è il più bravo a destreggiarsi in un mondo dove tutto è finzione. Dal momento che lui stesso illude i lettori di raccontare la propria vita. Ben sapendo che metterà sulla carta soltanto quello che gli fa comodo. E glisserà sul resto.»
Una recensione di elevata pregnanza critico-letteraria, che – con richiami tanto puntuali quanto suggestivi (da Melville a Huysmans, da Walser a Kafka, passando per Pasolini, fino a Reza e Moshfegh) – si addentra nel mistero infinitamente seducente della finzione.
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