#Incipit – I poteri delle tenebre

Nel 1900 lo scrittore islandese Valdimar Ásmundsson tradusse Dracula, il celebre capolavoro gotico del 1897 di Bram Stoker. Lo pubblicò in Islanda lo stesso anno con una prefazione di Stoker, sul giornale da lui fondato e diretto, «Fjallkonan». In realtà però il romanzo che gli islandesi leggevano non era il Dracula che conosciamo…
Eppure nessuno si era mai accorto di nulla, fino a quando, più di un secolo dopo, il ricercatore olandese Hans de Roos ha fatto una scoperta sensazionale: Ásmundsson non si era limitato a tradurre Dracula, ma ne aveva scritta una versione del tutto diversa, rielaborando la trama e aggiungendo nuovi personaggi. Il risultato è un romanzo più breve, più erotico e forse persino più ricco di suspense dell’originale.
Tanti sono i misteri che circondano il manoscritto: l’apparato critico a corredo dell’opera fornisce indizi interessanti su un enigma che metterà alla prova gli appassionati di questo classico della letteratura di tutti i tempi.

Addentriamoci insieme in questo prodigioso romanzo con la prefazione di Dacre Stoker, pronipote di Bram Stoker.

 

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Esistono misteri su cui gli uomini possono solo fare congetture,
e che, epoca dopo epoca, possono risolvere solo in parte.
BRAM STOKER, Dracula, 1897

È un onore scrivere questa prefazione per il mio amico e compagno di viaggio Hans de Roos, che ha coraggiosamente indagato sui più recenti tra i misteri che circondano Dracula. Ricordo bene la telefonata in cui Hans mi ha informato delle significative differenze esistenti tra l’edizione inglese e quella islandese del romanzo. Quando mi sono reso conto che Makt Myrkranna non era soltanto la traduzione islandese di Dracula, ma una vera e propria storia a sé stante, mi sono domandato: com’è possibile che per tanto tempo nessuno se ne sia accorto? Mentre, in preda all’entusiasmo, condividevo le mie prime riflessioni con de Roos, non vedevo l’ora di leggere la ri-traduzione in inglese del testo islandese per poter trarre delle conclusioni personali su quell’inaspettato sviluppo. E tutto ciò mi ha spinto, ancora una volta, a riflettere sull’eredità duratura dell’opera più famosa del mio pro-prozio.

Mi capita spesso di intervenire a eventi letterari e cinematografici in cui parlo della storia e dei retroscena di Dracula, e non manco mai di notare quanto i fan del romanzo e delle sottoculture letterarie e artistiche che esso ha ispirato siano sinceramente interessati a saperne di più su Bram e su ogni aspetto della sua opera. Dracula è considerato un classico, in parte perché, a più di un secolo dalla sua prima edizione, lettori e ricercatori stanno ancora tentando di fare luce sulla genesi e sull’interpretazione del romanzo. La traduzione di Makt Myrkranna (che, a quanto pare, è basata su una versione a puntate pubblicata da un giornale svedese) e le tante domande sulla genesi di questa variante dell’originale di Bram offrono una grande abbondanza di materiale, su cui le prossime generazioni potranno ragionare e indagare.

La scoperta di de Roos rappresenta un nuovo, importante mistero che va ad aggiungersi alle tante domande rimaste ancora senza risposta sul classico gotico di Bram Stoker. Per esempio, com’è possibile che 124 pagine di suoi appunti per la stesura di Dracula siano sopravvissute a un viaggio interminabile e tortuoso per approdare infine al Rosenbach Museum di Filadelfia? E che cosa ne è stato dell’unica copia dattiloscritta di Dracula negli anni intercorsi tra il suo arrivo a Filadelfia e l’acquisto da parte di Paul Allen, uno dei fondatori della Microsoft?

A quanto pare, poco dopo la pubblicazione del romanzo, Bram regalò l’unica copia dattiloscritta al colonnello Thomas C. Donaldson di Filadelfia, caro amico e biografo di Walt Whitman, che gestiva gli affari di molti scrittori. Dopo la morte del poeta americano, Donaldson, secondo le sue volontà, consegnò a Bram gli appunti originali della conferenza che Whitman aveva tenuto su Lincoln nel 1886. Durante una delle visite del mio antenato al poeta, i due avevano discusso del loro comune interesse per il presidente statunitense; e in seguito Bram, nei suoi interventi sull’argomento, ricordò l’esagerato resoconto personale che Whitman gli aveva fatto della notte in cui spararono a Lincoln. Donaldson morì nel 1898 e, l’anno successivo, Henkel’s vendette la sua vasta collezione di manoscritti e lettere. Eppure questo accadeva quasi un secolo prima che il dattiloscritto di Dracula venisse rinvenuto in Pennsylvania, in una stalla, tra i possedimenti della famiglia Donaldson. Il dattiloscritto passò di mano varie volte, e poi nel 2002, dopo essere stato messo all’asta da Christie’s con grande clamore ma senza successo, venne infine acquistato da Paul Allen.

Il 7 luglio 1913, quindici mesi dopo la morte di Stoker, Sotheby’s mise all’asta la sua biblioteca personale, compreso un libro scritto dal colonnello Donaldson, su cui compare una dedica fatta da suo figlio Thomas Blaine a Bram nel 1898, che recita: “Come ricordo”. Durante la stessa asta, James Drake, un libraio di New York, comprò, al prezzo di 2 sterline, il lotto n. 182, ovvero 124 pagine di “appunti originali e dati per il suo Dracula”. Acquistati alla cifra di 500 dollari per la collezione della Scribner’s, questi “appunti” ricomparvero nuovamente nel 1946, fotografati all’interno di un articolo della rivista “Life” sui manoscritti rari; poi, nel 1970, furono venduti da un libraio antiquario di nome Charles Sessler al Rosenbach Museum di Filadelfia. Solo alla metà degli anni Settanta – grazie ai professori del Boston College Raymond McNally e Radu Florescu – l’attenzione si spostò sul lavoro preparatorio svolto da Bram per Dracula. Mentre erano alla ricerca di un famoso pamphlet intitolato Dracole Waida (Norimberga, 1488 circa) – che includeva una xilografia di Vlad Dracula III – i due studiosi visitarono il Museo Rosenbach. Con loro grande sorpresa, il direttore del museo disse che forse avrebbero potuto trovare interessanti anche gli appunti presi da Bram Stoker durante le ricerche per Dracula, acquistati dal museo alcuni anni prima e ancora lì conservati in una condizione di relativo oblio. Così i due studiosi acquisirono una nuova prospettiva sulla ricerca e sul processo creativo di Bram, a cui fecero riferimento in The Essential Dracula (1979). Tuttavia, in un’altra loro opera, Storia e mistero del conte Dracula (1994), stabilirono uno stretto legame tra il Conte Dracula di Bram e il condottiero valacco, il principe Vlad, trasformando sostanzialmente Vlad Dracula III in un vampiro, con grande disappunto da parte degli storici e del popolo rumeno. Altri studiosi seguirono l’esempio di McNally e Florescu, e ancora oggi un pellegrinaggio al Rosenbach offre un’opportunità unica e importante per cercare di giungere a nuove conclusioni basate sulle note preparatorie di Bram. In alternativa, coloro che sono interessati possono consultare la ristampa anastatica, arricchita di un eccellente commentario, che è stata curata, nel 2008, dagli studiosi Elizabeth Miller e Robert Eighteen-Bisang.

Purtroppo, al di là del dattiloscritto e degli appunti, Bram ci ha lasciato ben poche informazioni di prima mano su Dracula. Una battuta che ricorre in famiglia, riferita da Noel Stoker, l’unico figlio di Bram, a Harry Ludlam – autore di A Biography of Dracula. The Life Story of Bram Stoker (1962) e My Quest for Bram Stoker (2000) – è stata citata più e più volte come se fosse una verità assoluta: con una certa dose d’irriverenza, Bram “attribuiva la genesi di Dracula a un incubo che aveva fatto dopo un’abbondante cena a base di granchi”.

A oggi, è stata ritrovata un’unica intervista rilasciata dal mio antenato a proposito di Dracula: scritta da Jane Stoddard del “British Weekly”, è apparsa a poche settimane dalla pubblicazione del romanzo e consta di sole 896 parole. Inoltre, sono note soltanto due lettere in cui Bram parla di Dracula, una delle quali inviata al primo ministro britannico William Gladstone, nel 1897. Tuttavia, anche questa missiva rivela ben poco di ciò che Stoker pensava della sua opera, al di là della speranza che potesse “purificare la mente attraverso la compassione e il terrore”.

Oltre a questa piccola riserva di “testi canonici” – il dattiloscritto di Donaldson, gli appunti del Rosenbach, la battuta sulla scorpacciata di granchi, l’intervista rilasciata alla Stoddard e la lettera a Gladstone – possiamo affidarci solamente alle opinioni di altri per spiegare quali siano state le potenziali fonti d’ispirazione e le motivazioni alla base del romanzo.

La riscoperta di Makt Myrkranna ci fornisce sia nuove informazioni che nuovi enigmi. Sfortunatamente, potremmo non scoprire mai tutta la verità sugli accordi (se mai ce ne furono) tra Bram Stoker e Valdimar Ásmundsson, che tradusse la storia in islandese dallo svedese e la pubblicò a puntate sul suo giornale, e poi, circa sei mesi dopo, in un volume per le librerie. Il contratto di Bram del 1897 con Archibald Constable, l’editore di Dracula, “non prevede alcun luogo o Paese diverso dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e le Dipendenze della Corona (essendo il Canada escluso da tali Dipendenze) e suddetto Autore sarà libero di concedere a terzi, diversi dal suddetto Editore, i diritti di pubblicare il suddetto lavoro…”, senza entrare nel merito di eventuali traduzioni. Purtroppo, la famiglia Stoker non è più in possesso di copie dei contratti editoriali di Bram, ma l’accordo con Archibald Constable lo lasciava chiaramente libero di vendere Dracula o far tradurre all’estero qualsiasi sua versione.

Sempre che non emergano ulteriori prove a sostegno del contrario, sappiamo che Makt Myrkranna (Islanda, 1900) è stata di fatto la terza versione tradotta di Dracula, dopo l’edizione ungherese, del 1898, e quella svedese, del 1899; il collegamento tra il testo svedese e quello islandese è stato scoperto e gentilmente portato alla nostra attenzione da Rickard Berghorn. Secondo i documenti rinvenuti dallo studioso John Edgar Browning, la versione ungherese dovrebbe essere una traduzione fedele di Dracula, mentre la recente scoperta di Berghorn ha dimostrato che esistono notevoli differenze tra la versione svedese e l’originale di Stoker. In realtà, sembra che quella islandese sia una versione ridotta del testo svedese, ma arricchita di sfumature nordiche.

Il primo estratto da queste varianti nordiche a essere scoperto e tradotto in inglese, seppur parzialmente, fu la prefazione di Makt Myrkranna, che Richard Dalby pubblicò, nel 1986, nel suo Bram Stoker Omnibus. Questa prefazione, decisamente diversa da quella della prima edizione Constable del 1897 di Dracula, per lungo tempo venne considerata dai ricercatori come l’unica differenza tra l’edizione islandese, del 1901, e le edizioni di Archibald Constable, del 1897; nessuno allora si accorse degli elementi della trama e dei personaggi del tutto nuovi che si nascondevano nel testo. Ci è voluto un ricercatore scrupoloso come de Roos per organizzare una squadra incaricata di tradurre in inglese la complicata lingua islandese e svelare così questo enigma – un enigma che è rimasto sepolto, per oltre un secolo, tra gli scaffali delle librerie, proprio sotto i nostri occhi. Credo che Bram avrebbe apprezzato l’ironia di questa situazione. Sapeva che il posto migliore per nascondere qualcosa era in bella vista, proprio come nascondeva il suo Conte vampiro nelle affollate strade londinesi. Makt Myrkranna è stato pubblicato più di cento anni fa; e oggi, con nostra grande sorpresa, ci rendiamo conto che non è mai stato come lo immaginavamo.

La scoperta di de Roos, inoltre, mette in luce il processo di traduzione, a cui sembra legittimo attribuire, nel caso dell’edizione islandese, le differenze significative tra i due testi. Viene da chiedersi, a questo punto, se anche tutte le altre edizioni tradotte di Dracula debbano essere esaminate alla ricerca di differenze sostanziali. Certo, un simile lavoro di comparazione va ben oltre le finalità del progetto di Hans – e di sicuro anche lo scopo di questa prefazione – e dovrà essere affrontato seriamente in futuro, ma la metamorfosi di Dracula in Makt Myrkranna è per me di particolare interesse.

Dal momento che due miei testi sono stati tradotti in varie lingue, so per esperienza personale che la traduzione letteraria non è semplice, e che per ottenere un buon risultato serve una notevole quantità di lavoro. Ancora oggi, nonostante la possibilità di utilizzare software linguistici altamente avanzati, nel processo di traduzione il fattore umano rimane fondamentale. È di primaria importanza che il traduttore comprenda il genere del romanzo e il periodo storico in cui è ambientato. Il traduttore deve garantire che il significato, l’emozione e l’atmosfera presenti nella versione originale rimangano intatti per chi leggerà quella tradotta, soprattutto perché la traduzione letterale non è una via percorribile quando si tratta di narrativa. Una traduzione scadente può danneggiare le opere anche degli autori più determinati e diligenti. Nel caso di Dracula, l’errata traduzione di alcuni versi del XV secolo ha cambiato radicalmente l’intento del poeta, portando così a un’interpretazione fuorviante delle intenzioni di Bram. Nel descrivere le crudeli azioni di Vlad Dracula III contro i mercanti sassoni in Transilvania, Michael Beheim, poeta di corte dell’imperatore Federico III del Sacro Romano Impero, scrisse che Vlad si lavava le mani nel sangue dei suoi nemici. Un passaggio, in origine tradotto erroneamente, mostra Vlad nell’atto di bere il sangue dei nemici morti da una ciotola nella quale ha intinto il pane, facendolo quindi passare per un vampiro1. In seguito l’opera di Beheim venne tradotta nel giusto contesto, e la differenza tra un vampiro che beve sangue e un tiranno assetato di sangue non passa di certo inosservata.

La variante svedese e quella islandese, quindi, furono il risultato di errori di traduzione, di un’eccessiva libertà creativa da parte dei traduttori o rappresentano forse un’altra versione della storia su cui Bram aveva lavorato per anni? Per quanto mi riguarda, propendo decisamente per quest’ultima ipotesi.

Sono convinto che, durante i sette anni che in genere vengono indicati come il lasso di tempo impiegato da Bram per la stesura di Dracula, sia esistita più di una versione della storia – molteplici bozze, sottotrame aggiunte o eliminate. Probabilmente l’esempio più noto è L’ospite di Dracula, che venne pubblicato come racconto dopo la morte di Bram. Secondo Florence Stoker, questa sezione venne tagliata in fase di editing perché il romanzo era troppo lungo.

Come si evince dagli appunti (del Rosenbach), Bram si serviva di un calendario per stilare una linea temporale coerente per la corrispondenza e gli spostamenti dei vari personaggi di Dracula. Il viaggio di Jonathan Harker alla volta della Transilvania comincia a Parigi e prosegue con una sosta di sei giorni a Monaco, ma questi primi elementi della storia non furono inclusi nella versione definitiva uscita nel 1897. I punti in comune tra L’ospite di Dracula e Dracula sono tali che molti considerano il racconto come il primo capitolo (eliminato) del romanzo. Il dattiloscritto regalato a Donaldson inizia a pagina 102, L’ospite di Dracula consta di una ventina di pagine, quindi, a quanto pare, mancano all’appello 80 pagine del dattiloscritto.

Il titolo del dattiloscritto di 529 pagine donato al colonnello Donaldson era The Un-Dead2. Sulle pagine, Bram e/o un editor avevano fatto delle aggiunte con l’inchiostro e cancellato alcuni brani, e tra i vari cambiamenti, i più significativi sono senz’altro la scelta del nuovo titolo, Dracula, e l’eliminazione di tre paragrafi, cosa che stravolge completamente il finale. Invece del conte Dracula e del suo castello spazzati via da un vulcano in eruzione, come leggiamo nel dattiloscritto originale, la scena che compare nell’edizione di Archibald Constable suggerisce una fine molto più ambigua per il vampiro.

Anche il fratello di Bram, il chirurgo Thornley Stoker, che viveva a Dublino, contribuì all’editing di Dracula, e proprio sul dattiloscritto di Donaldson possiamo leggere le sue annotazioni. Questo significa che quell’unico dattiloscritto viaggiò con Bram da Londra a Dublino, e poi di nuovo a Londra, dove venne affidato agli editor che lo corressero e lo perfezionarono fino ad arrivare alla versione definitiva pubblicata da Constable nel 1897, prima di essere rinvenuto in un granaio in Pennsylvania?

Alcuni potrebbero trovare sorprendente che l’opera di Bram sia stata tradotta persino in svedese e in islandese, ma a mio parere la passione per i vichinghi e “l’Antico Nord” che animava i circoli letterari dell’epoca è una spiegazione più che sufficiente. Allora molti studenti leggevano le traduzioni delle saghe eroiche, e non è azzardato ipotizzare che per Bram, cresciuto a Dublino nel quartiere di Clontarf (sito di una battaglia del 1014 tra un’alleanza norreno-irlandese e Brian Boru, re d’Irlanda), il legame con i vichinghi fosse qualcosa di molto personale.

Negli anni precedenti la pubblicazione di Dracula e Makt Myrkranna, era in voga andare in viaggio in Islanda. Nel Who’s Who: An Annual Biographical Dictionary3, “viaggiare” era indicato come uno svago molto diffuso, e artisti, studiosi e scrittori del tempo erano affascinati dal folklore, dalla lingua, dalla storia e dalla natura selvaggia dell’Isola di ghiaccio. Il reverendo Sabine Baring-Gould, archeologo, folklorista e compositore, imparò l’islandese da autodidatta e tradusse le saghe norrene. In un suo scritto affermava che nella letteratura islandese si potevano trovare spunti illuminanti sull’origine delle superstizioni di tutto il mondo e, tre anni dopo aver visitato il Paese, pubblicò il suo Book of Werewolves (1865), una delle fonti a cui Bram ha attinto per Dracula. Nell’unico riferimento diretto all’Islanda che compare in Dracula, il Conte attribuisce alla propria stirpe lo spirito battagliero dei berserk islandesi. Nel Book of Werewolves, la superstizione islandese sugli eigi einhamir (coloro che non sono “di un’unica pelle”) rispecchia un aspetto del potere del Conte: uomini capaci di “assumere le sembianze di altri corpi e la natura stessa degli esseri a cui quei corpi appartenevano”, di “acquisire, oltre alla loro, la forza della bestia nel cui corpo viaggiavano”, e “riconoscibili soltanto dagli occhi, che nessun potere è in grado di cambiare”. Il racconto di Baring-Gould Iceland, its Scenes and Sagas (1863) veniva utilizzato dagli islandofili come guida per il pellegrinaggio verso nord e offriva “la minuziosa descrizione del viaggio giorno per giorno e dei mezzi per realizzarlo”4.

Bram era un amico intimo di Thomas Hall Caine, autore del­l’Iso­la di Man e appassionato di cultura islandese. Dracula (1897) è dedicato “al mio caro amico Hommy-Beg”, soprannome di Caine (Little Tommy) nel dialetto mannese. Il famoso romanzo di Caine, The Bondman (1890), parzialmente ambientato in Islanda, venne completato e pubblicato a puntate prima che lo scrittore, nel 1889, trascorresse due mesi sull’Isola di ghiaccio – dove tornò quattordici anni più tardi per studiare i dettagli che avrebbe descritto in seguito nel romanzo Il figliuol prodigo (1904). A recarsi in Islanda fu anche H. Rider Haggard, contemporaneo di Stoker e Caine, con cui era in contatto, e prolifico autore di romanzi d’avventura come l’epopea vichinga Eric Brighteyes (1890).

Anche il noto scrittore, artista e designer William Morris, amico di Hall Caine, visitò due volte il Paese attorno al 1870. Morris imparò da solo l’islandese, affascinato come altri dalla sua purezza linguistica, e collaborò con Eiríkr Magnússon per tradurre in inglese molti racconti di autori locali, tra cui The Saga Library (1891). Il lavoro di Hans de Roos e dei suoi traduttori si ispira alla descrizione che Magnússon fece della cura e della precisione con cui Morris traduceva: “Non sorvolava su niente, e dava voce a ciò che gli autori intendevano, non semplicemente a ciò che dicevano”5. I libri tradotti da Morris dall’islandese all’inglese venivano regolarmente recensiti, e in genere i critici erano piuttosto inclini a elogiare la sua abilità come traduttore. Secondo Vivien Allen, la biografa di Caine, “Morris fu importante per lui, soprattutto perché gli fece conoscere le saghe islandesi”.

Per anni Bram si recò spesso nelle isole britanniche e in America con la compagnia del Lyceum Theatre di Henry Irving, quindi è probabile che non abbia avuto molte opportunità di viaggiare per piacere. Ma alcuni collegamenti e aneddoti che lo riguardano mi portano a escludere che sia rimasto immune dalle influenze degli islandofili e degli altri adepti della cultura nordica con cui era in contatto.

Mi sento di affermare con una certa sicurezza che il mio avo non solo era consapevole delle differenze tra Dracula e le edizioni svedese e islandese, ma che fu lui stesso a orchestrarle. Le deviazioni dall’edizione Constable del 1897 non avrebbero potuto derivare solo da errori di traduzione o da una libera interpretazione dell’originale: i cambiamenti erano troppo significativi. I punti in comune tra le prefazioni islandese e svedese e la trama modificata sono tali da far pensare che fu Bram a scrivere entrambe. A mio parere, i testi svedese e islandese sono un’altra versione o bozza di Dracula, scritta da Bram tra il 1890 e il 1897. I poteri delle tenebre – non Dracula o Drakula – era semplicemente un titolo diverso per un libro diverso.

È un peccato che, qualunque sia la ragione, Makt Myrkranna risulti un progetto rozzo, incompiuto. Sembra che Bram avesse delineato la Parte I – i dettagli del viaggio di Harker e gli orrori nel Castello Dracula – ma che non abbia mai sviluppato la storia nella Parte II. Quest’ultima offre solo descrizioni molto succinte dei movimenti e delle conversazioni tra i personaggi, lasciati appena abbozzati per giungere in fretta al finale. La scaletta di Bram che troviamo tra gli appunti per Dracula del Museo Rosenbach mostra una suddivisione equilibrata della storia in quattro “Libri” – “Dalla Transilvania a Londra”, “La Tragedia”, “La Scoperta” e “La Punizione” – ognuno composto di sette capitoli. Purtroppo, è improbabile che scopriremo mai perché Ásmundsson avesse pubblicato Makt Myrkranna in forma abbreviata, ma l’idea che questo testo non sia Dracula rinnova la necessità di ulteriori ricerche sulle prime traduzioni dell’opera di Bram anche in altre lingue.

Il futuro potrebbe avere in serbo altre importanti scoperte relative a Dracula, ma credo che gli sforzi di de Roos rappresentino una pietra miliare nelle innumerevoli indagini appassionate e ben condotte che finora sono state svolte sull’argomento. Certo, il carattere unico dell’edizione islandese solleva, ora come ora, più domande di quelle a cui sia possibile dare una risposta. Ma indipendentemente dalla sua genesi, la storia in sé possiede un indiscutibile fascino letterario. Godiamoci il frutto delle fatiche di Hans e le sfide che presenta, e lasciamo che questo lavoro possa ispirare e illuminare chi si misurerà con l’argomento in futuro. Il mistero che circonda il thriller gotico di Stoker si infittisce con il passare degli anni, e la resurrezione di Makt Myrkranna è l’ennesimo, fulgido esempio dell’immortalità di Dracula.

Dacre Stoker, aprile 2017

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