Giovane ribelle e writer che cresce nelle strade di Southend, nell’Essex, ascoltando rap, poi affiliato a un’organizzazione islamista, imprigionato in Egitto e infine paladino dei diritti civili, l’ordalia di Maajid Nawaz incorpora molte contraddizioni e si dipana attraverso tre fasi ben distinte eppure congruenti, che si alimentano l’una con l’altra. […] Come lui ascoltava Fuck Tha Police dei N.W.A. e spiegava che “la nostra stessa terminologia, relazioni di razza, divario tra razze, giustizia razziale, profili razziali, privilegio bianco, persino supremazia bianca, serve a offuscare il fatto che il razzismo è un’esperienza viscerale, che stacca pezzi di cervello, blocca vie respiratorie, strappa muscoli, estrae organi, spacca ossa, rompe denti. […] Maajid Nawaz aderisce a un gruppo che come obiettivo ultimo ha il ritorno al califfato e ne diventa uno dei principali promotori: in questi frangenti Radical affronta con dovizia di particolari e con una ricchezza di aneddoti la ricchezza e la complessità di un mondo (quello islamico) per molti ancora indecifrabile. […] Arriva un momento in cui le divisioni di classe, economiche e culturali, possono essere superate solo puntando sulla reciproca integrazione e sulla partecipazione di tutti nella società”. È l’ultima parte, quella tesa a rivendicare una ragionevole forma di convivenza, dai contorni più umani, e non stupisce che sia la più difficile: quello che insegna Radical, una volta di più, è che la democrazia resta un’imperfezione tanto meravigliosa quanto fragile.
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