«Strindberg non è nuovo a dialogare con le simbologie, in bilico fra gnosi e filosofia, fra tentazione nichilistica e ascesi; in questo caso, esse acquistano uno spessore ancor più intenso, anche grazie alla scelta stilistica inaspettatamente innovativa. Si tratta infatti di un lungo monologo – confessione di un uomo sofferente, che si riscuote solo a tratti dalla sedazione indotta dalla morfina, per ricomporre, con lucida disperazione, i tasselli della propria esistenza, in uno stream of consciousness joyciano, che possiede però i tratti perturbanti di un Kafka, vicini al tormento interiore di un Dostoevskij.»
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