Scrive Francesco F. Centamore sul romanzo di Aliya Whiteley:
«Fin dalle prime righe di questo romanzo […] si capisce che Aliya Whiteley è una scrittrice assolutamente fuori dagli schemi, che il suo è un mondo a parte. Un mondo ricchissimo di immagini, sensazioni ed emozioni molto articolate, un mondo ansioso di uscire dalla pagina per insinuarsi con garbo nella mente e nel corpo del lettore. […] Ciò che colpisce è proprio la spontaneità con cui il racconto fluisce e, pagina dopo pagina, si avviluppa lungo le spirali della coscienza per sprigionare la sua magia. […] il classico stream of consciousness tanto caro alla tradizione letteraria inglese (penso soprattutto a Virginia Woolf, più che a Joyce) scorre qui con una vivacità e una freschezza non comuni. La personalità della protagonista, una diciassettenne di campagna con la testa piena di sogni, ma anche sicura di sé e delle sue scelte, sgorga inarrestabile fra le righe e impregna ogni singola virgola di questa storia. Un personaggio potente come pochi, una giovane donna che fa delle sue consapevoli fragilità uno scudo capace di abbattere anche l’oscurità più profonda e inquietante. La forza delle proprie insicurezze, il cuore che sgretola ogni paura e non vacilla davanti al mistero che avvolge sempre più la piccola comunità rurale. La storia si dipana spogliandosi degli schemi ormai collaudati, tipici della tradizione fantastica, per aprire nuovi orizzonti e approdare a uno sviluppo molto originale. Non a caso, la Whiteley è considerata dalla critica anglosassone come l’erede di Margaret Atwood.»