Scrive Alessandro Vergari: “Nell’antica città di Rey c’è un uomo senza nome che dipinge scatole portapenne e che racconta, in prima persona, di sé: una maledizione, tanto simile a un’infezione, lo ha invaso, colonizzandolo come un parassita. Egli è la sua stessa infezione. […] Il protagonista, in definitiva, è oggetto dei suoi incubi ed è pensato dai suoi demoni interiori. […] La civetta cieca è un’opera sentita nella carne e nella mente. Perdersi nei suoi meandri di poetica bellezza è un’esperienza scomoda, affascinante e perigliosa. Vieni a bere con noi / il vino di Rey / se non ora quando? Tu assassino, tu prostituta, tu vecchio rigattiere, cosa aspetti?”