«Sadeq Hedayat è un maestro nel dipanare gli equivoci […] Gli stessi protagonisti si muovono come spettri negli anfratti di quello che non viene detto. Ogni racconto ha un personaggio che deve affrontare il il sospetto, la vendetta, l’invidia (succede ad Abji Khanum), le faide (“Tutti a Shiraz sapevano che Dash Akol e Kaka Rostam erano così nemici che avrebbero sparato pure alle reciproche ombre”) e gli intrighi. I complotti politici che avvelenano L’ultimo sorriso, non sono meno di quelli sentimentali che poi vengono concentrati attorno alle formule del matrimonio dove l’ambiguità (maschile e femminile) ha modo di espandersi e di implodere […] quello che Il randagio e altri racconti condividono sono le atmosfere di un Iran preindustriale e cosmopolita, con la vita, privata e sociale, che si svolge tra il bazar e il quartiere, ma dove “non c’è più niente che sia benedetto dalla sorte”. Il tratto comune è un’estrema povertà, condensata nell’idea che “il nostro tempo è finito, come dicono le vecchie ciabatte, siamo vivi perché non abbiamo il sudario”.»
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