Il primo romanzo italiano targato Carbonio non poteva non contenere diversi piani di lettura, dunque da un lato una divertente commedia gialla in cui
si seguono con trepidazione le sorti di un simpatico gruppo di ricercatori informatici, specie quelle di Dario, la voce narrante, diviso tra la passione per
gli scacchi, gioco di astrale eleganza, e il bridge, più terreno e carico di insidie più immediate; dall’altro, un testo che solleva questioni stringenti tra cui
la dipendenza dagli algoritmi che compromette la libertà (e la bellezza) delle scelte individuali, la creatività che non sembra più esclusivo appannagio
degli uomini, la sofisticazione digitale che porta con sé un’inquietante omologazione del sapere.