Intervista collettiva ad Arkadij Strugackij, 1982

INTERVISTA COLLETTIVA

Domande poste ad Arkadij N. Strugackij nell’ambito di un seminario di giovani scrittori di fantascienza il 17 marzo 1982 nella redazione del giornale “Znanie-Sila”.

Trascritta da B. Babenko

 

Domanda. È vero che tutti i vostri eroi sono tratti dalla vita reale?

Arkadij N. Strugackij. Fin dall’inizio il nostro lavoro – mio e di mio fratello – è stata una reazione alla inverosimiglianza della fantascienza, alla inverosimiglianza dei personaggi. Davanti ai nostri occhi – i miei quando ero nell’esercito, quelli di Boris Natanovich prima all’università, poi all’Osservatorio – passavano persone che ci piacevano molto. Persone meravigliose, che si erano trovate in diverse situazioni assieme a noi. Persino in situazioni pesanti. Mi ricordo, per esempio, quando mi lasciarono sull’isola di Alaid, con dieci lattine di burro per dieci giorni. E senza un grammo di zucchero o un boccone di pane. E ci furono situazioni anche peggiori, quando una piccola compagnia di quattro o cinque persone fu costretta a vivere per un tempo prolungato in uno spazio limitato. Fu in questa occasione che sperimentai sulla mia pelle problemi di compatibilità psicologica. Era sufficiente una sola persona negativa per affossare il morale dell’intero gruppo. A volte era davvero intollerabile. C’erano anche dei gruppi in cui si sapeva che c’era una persona cattiva, ma a questo eravamo preparati e in qualche modo riuscivamo ad allontanarla dai nostri affari. Voglio dire che avevamo di che scrivere i nostri personaggi. E quando io e mio fratello cominciammo a lavorare, non dovemmo creare dei personaggi con caratteristiche e tratti inventati, erano già pronti, erano già venuti al mondo davanti ai nostri occhi, dovevamo soltanto metterli nelle giuste situazioni. Diciamo che stiamo scacciando una goletta giapponese su una barca di frontiera – è un affare piuttosto rischioso. Perché non immaginare queste persone su una navicella spaziale? In fondo i personaggi ci sono già. Ci siamo semplificati la vita, se vogliamo metterla così. Ovviamente lungo il cammino qualcosa abbiamo dovuto inventare. Ma non è tanto un’invenzione, quanto una generalizzazione di determinati tratti presi da persone reali e combinati in una sola immagine.

D. Quando avete iniziato a scrivere fantascienza?

A.N.S. Io e mio fratello amavamo leggere fantascienza sin da bambini. E quindi, inevitabilmente, abbiamo dovuto cominciare a lavorare con la fantascienza. Ma, in generale, all’inizio era letteratura eroica, letteratura degli eroi. Di cavalieri senza macchia e senza paura. E senza problemi. Come? Il paese delle nubi purpuree? E dove sta il problema?… Si sono seduti, hanno volato. È difficile dire qualcosa sull’inizio della nostra attività… Su quando esattamente abbiamo iniziato a lavorare… Il nostro primo lavoro fu una reazione allo stato della fantascienza nel nostro Paese… Allora la situazione era davvero brutta, per la fantascienza…

D. Quando siete nati come gli scrittori “Fratelli Strugackij”? Quando siete diventati dei veri scrittori?

A.N.S. Mah, non saprei… Posso solo dire con certezza: quando è uscito Pepel Bikini[1], un romanzo politico, quando lo pubblicarono ci fu chiaro: saremmo andati avanti.

D. E chi era il coautore?

A.N.S. Un certo Lev Petrov. Io e lui avevamo servito insieme nell’esercito in estremo Oriente. E poi, dopo il congedo, cominciò a lavorare per l’APN, sposò la nipote di Chruščëv. E morì giovane.

D. Ci sono dei casi in cui non sapete come andrà a finire la narrazione? Ad esempio Lo scarabeo nel formicaio presuppone diversi finali…

A.N.S. Sappiamo sempre come dovrebbe andare a finire, ma nemmeno una volta nella storia del nostro lavoro assieme la narrazione si è conclusa come avevamo immaginato. Ciò vuol dire che sappiamo sempre di cosa stiamo scrivendo, e ci sbagliamo tutte le volte. E non viene fuori alla fine, ma da qualche parte nel mezzo.

D. In alcuni dei vostri lavori c’è un’intenzionale reticenza. Per esempio, in Catastrofe planetaria

A.N.S. Io credo che la reticenza debba essere lo strumento fondante della letteratura. Per quanto riguarda Catastrofe planetaria, non ricordo bene. Il lavoro su quel testo appartiene al periodo in cui avevamo sia il vigore che le energie per seguire un piano preparato in anticipo. Non è da escludere che il finale di quella storia fosse stato pianificato. È possibile che avessimo in mente un finale felice, anche se… scartiamo i finali felici come inverosimili in ogni circostanza.

D. Di solito i vostri libri sono ambigui. Suscitano molti pensieri, a volte contraddittori. Prendiamo Lo scarabeo nel formicaio: leggendo, ti immagini diverse varianti di finale, ma comunque il modo in cui terminate il romanzo piove davvero inaspettato sul lettore. Cercate consapevolmente la polivalenza della narrazione, o capita per caso?

A.N.S. Noi crediamo questo: quanto più un’opera letteraria suscita opinioni contraddittorie, quante più interpretazioni consente, quanto più conflitto interiore causa ai lettori, tanto migliore è. Dal mio punto di vista, il valore assoluto dell’opera in questo caso aumenta. Leggendo un’opera che si può interpretare così, così e cosà, a volte il lettore cambia la sua visione del mondo. Comincia a capire che non ci possono essere risposte definitive sul mondo. Ecco la cosa più importante. Oggi è arrivato a un’interpretazione, e tra un anno rileggerà e gli verrà in mente un’interpretazione diversa, e così accumula esperienza.

D. E come arrivate alla conclusione di aver detto tutto ciò che volevate dire, se il risultato è ambiguo e non consente giudizi univoci? È possibile che ci sia un inconscio desiderio di terminare il lavoro?

A.N.S. No, alla fin fine è un processo cosciente. Cosciente in questo senso: quando ci troviamo in una situazione in cui è possibile prendere diverse decisioni, riteniamo che si possa mettere il punto finale.

D. Non c’è una contraddizione tra la fede dello scrittore nel suo mondo e la realtà?

A.N.S. No, non c’è. State partendo dal presupposto sbagliato. Per noi la costruzione dell’universo viene all’ultimo posto. Nel processo lavorativo all’inizio arriva la trama, poi lo scenario, poi sviluppiamo trama e scenario. Li sviluppiamo in modo tale da esprimere quanto più chiaramente possibile la nostra idea. E in accordo con questo, costruiamo attorno il nostro mondo. Perciò non sussiste una contraddizione logica.

D. E una contraddizione emotiva?

A.N.S. Noi creiamo un universo in uno spazio vuoto. Se questo universo entra in conflitto con noi, lo cambiamo in modo che non lo faccia. Costruiamo modelli di universo, di ambientazione e situazioni in modo tale che non interferiscano con noi, ma ci aiutino a lavorare. Se avessimo bisogno, per esempio, di tre lune… immagineremmo per le nostre necessità una trama nella quale nel villaggio di Dikan’ka ci sarebbero immediatamente quattro lune. E con questo? Non avremmo alcuna esitazione a metterci quelle quattro lune.

D. E da dove prende avvio Picnic sul ciglio della strada? Dall’universo o dall’idea?

A.N.S. Picnic è stato un po’ insolito, perché all’inizio ci piaceva molto l’idea del picnic. Una volta abbiamo visto un posto dove pernottavano i turisti (in macchina). Era un posto tremendamente sporco, sul prato regnava lo squallore. E allora abbiamo pensato: come dev’essere per gli abitanti della foresta? Ci piaceva quell’immagine, ma passammo oltre, chiacchierando, e il prato scomparve dalla nostra memoria. Fummo occupati da altre cose. E poi, quando venne fuori un’idea di umanità – questa idea: un maiale che trova la spazzatura – tornammo al prato. Se non ci fosse la bomba atomica, ci sarebbe qualcosa d’altro. L’umanità, al suo corrente livello di psicologia di massa, troverebbe certamente qualcosa con cui farsi del male. Ed ecco, quando si è formata questa idea, ci siamo ricordati subito del prato lurido.

D. Quanti anni passano da quando un’idea nasce a quando prende corpo?

A.N.S.  Quattro o cinque anni. Ma parallelamente lavoriamo anche su altre cose.

D. Ma quando scrivete, probabilmente non pensate più ad altre cose?

A.N.S. Quando scriviamo? Come ho già detto, a un certo livello, quando padroneggi la tecnica… Cosa intendiamo per maestria? Per maestria nella scrittura intendiamo la capacità dell’autore di esprimere qualsiasi pensiero, anche quello più complesso, automaticamente, senza un particolare sforzo. Perciò il processo di scrittura non ci richiede un grande sforzo, e ci lascia “freschi” a pensare ai lavori successivi.  Inoltre, ci incontriamo per riflettere.

D. Capita mai che i personaggi sfuggano al vostro controllo? Si comportano mai in un modo che voi non abbiate previsto dall’inizio?

A.N.S.  Appena un personaggio che già ci piace comincia a comportarsi in modo diverso dalle nostre intenzioni, bisogna cambiare intenzioni.

D. Di solito tutti i vostri eroi – i personaggi delle vostre opere – sono nostri contemporanei…

A.N.S.   Necessariamente. Non avrebbe alcun senso rappresentare qualcosa di diverso…

D. Perché non ci sono donne tra i personaggi principali dei vostri romanzi?

A.N.S.   Le donne per me erano e restano le creature più misteriose del mondo. Sanno qualcosa che noi ignoriamo. Lev Tolstoj disse: tutto può essere immaginato, tranne la psicologia. Ma la psicologia delle donne possiamo solo immaginarcela, perché non la conosciamo.

D. E cosa si può dire a proposito di Un miliardo di anni prima della fine del mondo?

A.N.S.   Lo sapete già. In qualche modo è stato scritto da tutti noi. Ricordate che è a proposito di una cartellina? E dopo averlo letto, non vi siete chiesti “E cosa dovrei farci con questa cartellina?”. Noi abbiamo dato una risposta attraverso le parole dell’eroe: se consegnerò la cartellina, sarò molto piccolo, inutile, e mio figlio dirà di me che sì, mio papà una volta ha quasi fatto una grossa scoperta. E comincerò a compiere le più basse turpitudini e a bere cognac. E se non consegno la cartellina, potrebbero uccidermi. Scelte.

D. Vuol dire che per voi il tema della scelta è il più importante?

A.N.S.   Esattamente. Noi, gli Strugackij, abbiamo scritto inconsapevolmente proprio di questo. Ma a lungo non abbiamo realizzato che si trattasse proprio di questo. Scrivevamo, lo ripeto, inconsapevolmente. È venuto fuori che il tema principale degli Strugackij è la scelta. E non ce ne siamo accorti noi, ce l’hanno suggerito. Un conoscente l’ha suggerito.

[1] Qui va specificato che il libro figura solo a nome di Arkadij e L. Petrov, non c’è traccia di Boris.

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