Intervista con Aliya Whiteley, autrice di “La muta”

L’autrice britannica Aliya Whiteley negli ultimi anni è diventata una maestra dei romanzi body-horror. Con molti dei suoi libri selezionati per i principali premi nel regno della fantascienza e del fantasy, negli ultimi anni Whiteley è diventata uno dei miei autori preferiti. Per i lettori interessati al mondo naturale che li circonda, ma che ne sono anche un po’ spaventati, la scrittura di Whiteley permea il cervello come una colonia di funghi. Di recente, ha risposto ad alcune domande di FangirlNation.com.

FGN: Sei diventata una maestra del body-horror. Cosa ti spinge a creare mondi in cui le persone perdono la pelle o gli uomini vengono ingravidati dalle piante? Ti ispiri a qualcosa in particolare?

AW: Grazie. Direi che essere una creazione organica, avere un corpo, è stata la mia principale fonte di ispirazione! Per la maggior parte del tempo viviamo come se i nostri corpi fossero immutabili, come se non fossero enormi insiemi di cose diverse che collaborano, o non riescono a farlo. Mi interessa come ci fidiamo dei nostri corpi, o impariamo a diffidare di loro attraverso l’esperienza, e ho scoperto che esagerare o scambiare alcune funzioni dei nostri corpi è un buon modo per esplorarne la realtà. Non cerco di suscitare orrore trovando qualcosa che un lettore dovrebbe temere che gli accada. Mi concentro invece sugli elementi più strani dell’esistenza che tutti condividiamo, spingendomi oltre i confini in modo da averne una visione più chiara.

FGN: Vedo che nel tuo percorso creativo hai anche scritto un libro intitolato The Secret Life of Fungi. Cosa ti ha portato a interessarti ai funghi?

AW: Il mio interesse per i funghi risale alla mia infanzia, quando passeggiavo per ore nei boschi, ma ha avuto una svolta quando ho letto un libro sulle estinzioni di massa del passato e ho scoperto che, per un breve periodo dopo questi eventi, i funghi divennero la principale forma di vita sul pianeta, nutrendosi di tutta quella materia in decomposizione, coprendo il mondo con le proprie spore e corpi fruttiferi. Non riuscivo a togliermelo dalla testa, e questo mi ha portata alla stesura de La Bellezza, il mio romanzo post-apocalittico in cui i funghi hanno un ruolo chiave. Non avevo davvero intenzione di scrivere un saggio, nemmeno su un argomento che mi appassiona, ma Elliott e Thompson (l’editore di The Secret Life of Fungi) mi ha contattato dopo aver letto La Bellezza e mi ha chiesto se volessi fare un tentativo. Ci ho pensato, e quella sfida mi spaventava molto, così ho deciso che dovevo provare. Sono davvero contenta di averlo fatto. Sottolinea come i funghi facciano parte di tutto, compresi il corpo umano, l’arte e la letteratura, i deserti e gli oceani, e siano ovunque. Anche nello spazio. È un argomento straordinario.

FGN: È stata la narrativa o la saggistica a portarti per prima alla scrittura? Preferisci uno dei due stili all’altro?

AW: Sono principalmente una scrittrice di narrativa. Ho iniziato a scrivere narrativa quando ero sulla ventina, amo creare mondi e persone, e sorprendere me stessa e i lettori con quel che mi invento. Ho scritto molta saggistica da allora, soprattutto articoli su argomenti che amo, come film, libri e il mondo naturale, ma preferirò sempre la narrativa.

FNG: Hai accennato al fatto che i racconti popolari ti hanno profondamente ispirata. C’è un racconto o una cultura folkloristica che preferisci in particolare (quella russa, celtica, giapponese…)?

AW: Amo i racconti popolari e la tradizione orale. Mi interessa anche il momento in cui il racconto cresce, cambia, o perfino quando viene ammorbidito per un pubblico particolare. Non credo che siano solo qualcosa del passato – continuano a essere re-inventati e si possono trovare moltissime varianti, che insegnano tutte la stessa morale. La prima che mi viene in mente è quella del pesciolino d’oro che esaudisce i desideri del pescatore che lo prende. Mi sembra che sbuchi fuori in più culture per il mondo, e che ancora oggi sia famosa. La semplice morale “non essere avido!” vale per così tanta gente, a prescindere dalla cultura. Credo che le storie siano luoghi in cui si scopre che abbiamo tutti le stesse emozioni, le stesse preoccupazioni.

FGN: Per scrivere hai qualche rituale particolare? Qualche tipo di musica, la televisione di sottofondo, oppure il silenzio?

AW: In genere sono una scrittrice da bar. Mi piace che attorno a me ci sia brusio, che succedano cose, e ho faticato molto a riuscire a scrivere nell’ultimo anno! Sono ricaduta nell’ascoltare la radio molto di più, e mi aiuta non poco. Ho tirato fuori un vecchio giradischi e dei vinili, e anche questo non è niente male. Preferisco musica classica o jazz. Senza parole. Beethoven e Oscar Peterson.

FGN: Sul nostro sito c’è una tua foto con il ciottolo del Premio Shirley Jackson. In quanto autrice, c’è un’opera in particolare per cui vorresti essere ricordata? Se un premio avesse il tuo nome, che forma avrebbe?

AW: Sono stata felicissima di vincere quel ciottolo, soprattutto in quanto grande fan di Shirley Jackson. Che bella domanda! Forse il fungo dell’inchiostro, Coprinus comatus. Sono bellissimi. Sicuramente tutti vorrebbero vincerne uno. E sarebbe perfetto per tutti noi scrittori dai capelli arruffati, che siamo ora a casa, cercando di lavorare.

Per leggere l’intervista in lingua originale clicca qui.

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