Scrive Anastasia Marano: «La maestria della parola di Hafid sta nella sua capacità di allentare ciò che è troppo stretto, di bandire la malinconia, di comunicare al corpo un umore che non appartiene all’intelletto ma al corpo medesimo. È il corpo che ride, una forma vitale di medicamento che si diffonde attraverso i sistemi endocrino e neurologico del corpo. Ride per le storie di donne chine alle fontane, per gli umori dell’oscenità, per le melanzane e i cetrioli dati in affitto a donne languide, per un imam talmente buono e santo che gli anziani non vedono l’ora di pregare sulla sua tomba, (che Allah li perdoni), per una famiglia in cui tutte le donne si chiamano Fatima e tutti gli uomini Abdullah, per il nugolo mosche compagne di sudicio del piccolo Abdullah, per i piedi monchi del grande Abdullah che ritornano dalla guerra, bussano alla porta e chiamano forte “mamma, mamma!”.»
Leggi la recensione cliccando qui