Così Paolo Perlini: «Leggendolo mi sono chiesto ancora una volta quanto nelle “traduzioni ponte” venga perso e quanto invece si aggiunga per avvicinarsi alla nostra cultura. Uno snaturamento simile a quei piatti esotici che in patria vengono resi meno piccanti per non offendere i nostri palati.
È già stato detto: tradurre significa tradire e più passaggi ci sono più ci si allontana dall’originale, si perde l’anima dell’autore. Credevo fosse vero soltanto nella poesia, dove la parola ha un suono, mentre nella prosa quello che interessa di più è la storia. Mi sono ricreduto e pur non avendone la certezza sono convinto che se [Sadeq Hedayat] fosse passato attraverso una traduzione intermedia avremmo perso gran parte della magia e del colore nei quali Sadeq Hedayat ha intinto il pennino.»
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