In occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo, Gli osservati, Jennifer Pashley dialoga con Diletta Crudeli. L’esito è quello di un’intervista ricchissima dove si sviscerano molteplici argomenti – autenticità umana e caratterizzazione; forza delle voci narranti; spazio narrativo; bisogno di riserbo e crescente sorveglianza; queerness e non queerbaiting ; la scelta del crime come genere di particolare efficacia per la denuncia di ingiustizia ed emarginazione sociali.
La prima cosa che voglio chiederti riguarda la protagonista, Kateri. Com’è nato il suo personaggio? Viene prima del romanzo o viceversa? Tra l’altro Kateri ricorda il classico detective (passato fumoso, storia drammatica) ma in realtà riesce a discostarsi parecchio da questa immagine. Kateri sembra molto radicata nel presente. Sei d’accordo?
«Avevo intenzione di scrivere un romanzo giallo, una crime novel che si svolgesse in modo abbastanza classico, ma desideravo che la detective fosse in qualche modo diverso. Kateri è una outsider, lo è anche nella vita. È isolata dalla sua famiglia (figlia unica, non conosce il padre) ed è isolata in ambiente lavorativo (è l’unica donna e non è del posto). Nelle storie di questo tipo c’è spesso un noi vs un loro e desideravo che Kateri stesse nel mezzo, qualcuno in grado di comprendere cosa significa sia essere accusato che essere la vittima. È riservata ed è molto intuitiva, cosa che la rende un’investigatrice lenta e silenziosa, e ciò fa sentire i suoi colleghi a disagio. Ma soprattutto volevo che fosse un essere umano, non solo un personaggio.»
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