Scrive Francesco Marilungo: “si ha la sensazione di trovarsi in una sorta di labirinto mentale e pulsionale, incastrati in un tempo circolare e ripetitivo dove regna l’eterno ritorno dell’uguale, ma con quasi impercettibili e spiazzanti variazioni. […] Molte parti del testo sembrano frutto di un delirio febbrile, un ragionamento dentro la zona grigia fra la vita e la morte, affumicato dall’oppio e dal vino. Gli spazi fisici assumono i caratteri dell’allegoria (la stanza è una tomba, le finestre sono occhi sul mondo), gli spazi urbani sono decomposti in forme geometriche caleidoscopiche e allucinatorie, quasi visioni lisergiche. Il tempo confonde il prima e il dopo in movimenti circolari o a spirale: ciò che viene raccontato prima potrebbe essere avvenuto dopo […] un piccolo gioiello letterario, inquietante e profondissimo, capace in poco spazio di scavare abissi mentali pregni di dolore e angoscia ma anche di maledetta bellezza.”