…una storia perturbante e visionaria già vincitrice del Subjective Chaos Award come miglior romanzo fantasy e selezionata per il British Fantasy Award. Un libro che si fa anche provocatoria riflessione sull’amore: quanto si insinua dentro di noi, quanto è parte integrante della nostra vita? E una volta perduto, si può riaverlo indietro?
Per entrare più nel vivo della vicenda e conoscerne i retroscena dal punto di vista di chi l’ha ideata, abbiamo intervistato la scrittrice stessa, considerata una delle più originali e innovative della letteratura inglese contemporanea, e già autrice di romanzi, racconti, poesie e saggi pubblicati su diverse testate, antologie e siti letterari, già nota in Italia per La Bellezza e L’arrivo delle missive, entrambi portati in libreria sempre da Carbonio Editore.
Nell’universo in cui ha ambientato il suo nuovo romanzo, ogni essere umano subisce volente o nolente una muta ogni sette anni. Sembra uno scenario distopico inquietante e lontano dal nostro modo di vivere, eppure la biologia ci dice che effettivamente ogni sette anni tutte le cellule del nostro corpo si rinnovano davvero… Che sia anche questa una muta, a modo suo?
Avevo in mente proprio questo concetto del rinnovamento di tutte le nostre cellule, mentre scrivevo il libro. Penso che ci troviamo tutti in un processo di cambiamento nel corso tempo, sia sul piano biologico sia su quello fisico, quindi c’è qualcosa di attraente nell’idea di perdere la proprio pelle e avere la prova di essere completamente cambiati. Invece di sentire limitarsi a percepire che sono andati avanti, i personaggi de La muta ricevono un promemoria fisico di quanto sono diventati diversi e di cosa si sono lasciati alle spalle. All’inizio può sembrare un’idea strana, ma penso che offra molto spazio per esplorare il modo in cui in questo modo ci relazioniamo con il passato e con le nostre vite che cambiano.
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