Scrive lo slavista Mario Caramitti: "In un denso reticolato di riferimenti e proiezioni etiche e culturali, che costituisce la vera ossatura del testo, più di tutto incide l’affresco inclemente di una società afflitta dal mastodontismo degli apparati e dallo sfacelo infrastrutturale: carta carbone della tarda Unione Sovietica, nella quale le atmosfere kafkiane, apparentemente implacabili, sono stemperate dalla faciloneria cameratesca e irriverente con cui il dogma burocratico si disinnesca da sé, si autoproclama carta straccia."